
Influenza aviaria
Situazione. Da ottobre 2024 in Italia sono stati notificati 56 focolai nel pollame e circa 95 casi negli uccelli selvatici, e nell'ultimo mese anche 3 positività nei mammiferi, un gatto e due volpi. L'ondata epidemica in corso è dovuta all’elevata contaminazione virale ambientale, in aree a forte vocazione avicola, sostenuta da un'alta circolazione del virus nei volatili selvatici.
Gestione dei focolai negli allevamenti. Le misure di controllo, con l'istituzione di zone di protezione e sorveglianza, insieme agli abbattimenti, hanno evitato il dilagare della malattia in modo incontrollato. Dal canto loro, le aziende devono continuare a investire in misure di biosicurezza. Al momento il rischio per l'uomo rimane molto basso, il rischio maggiore è per le persone esposte, come allevatori e veterinari.
«Una recente opinione scientifica appena pubblicata da EFSA e ECDC, a cui hanno partecipato anche ricercatori dell’IZSVe, ha stilato un elenco esaustivo di 34 mutazioni genetiche che potrebbero aumentare il potenziale trasferimento all’uomo dei virus dell’influenza aviaria - afferma Antonia Ricci, direttrice generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e presidente dell'Associazione Istituti Zooprofilattici Sperimentali -. I ricercatori dell’IZSVe hanno analizzato migliaia di sequenze genetiche di virus influenzali aviari per identificare le mutazioni potenzialmente rilevanti per il rischio zoonotico. In questo contesto, le misure possono essere efficaci solo attraverso l'attuazione di strategie sostenibili e condivise tra la produzione, associazioni di categoria, Regioni, Ministero della salute e Ministero dell’agricoltura».
Vaccini. I vaccini per le specie avicole possono essere un valido strumento per ridurre l’impatto delle epidemie influenzali nei casi in cui altre misure risultino poco efficaci. Tuttavia il loro utilizzo deve essere autorizzato dal ministero della Salute ed è regolamentato da normative nazionali ed internazionali che prevedono un uso controllato del vaccino e un’intensificazione della sorveglianza sanitaria, al fine di individuare con tempestività anche animali vaccinati infetti apparentemente sani.
Cinghiali e peste suina africana
L’IZSVe già da diversi anni ha notevolmente intensificato la sua attività sulla peste suina africana, considerando la situazione epidemiologica in Europa e in Italia. Oltre naturalmente a svolgere il suo ruolo di laboratorio, mediante le analisi sui campioni prelevati da suini domestici e cinghiali selvatici per la sorveglianza su questa infezione, l’IZSVe è stato ed è tuttora coinvolto in molteplici attività di formazione, informazione e supporto tecnico-scientifico.
Formazione e informazione. Già dal 2019 l’IZSVe ha organizzato/partecipato a decine di eventi formativi (circa 60 in tutto il Triveneto), rivolti a diverse categorie; inoltre, ha prodotto numerosi articoli tecnico-divulgativi, materiale di consultazione e manualistica, disponibile sul sito web istituzionale.
Piani di intervento. IZSVe collabora alla stesura e attuazione dei Piani Regionali di Interventi Urgenti (PRIU) nei confronti della PSA, e livello più locale con i diversi Gruppi operativi territoriali (GOT), che supportano l’attuazione in loco del PRIU e delle ordinanze commissariali, sia in termini di gestione del cinghiale, sia di strategie di sorveglianza.
Ricerca scientifica. Svolge attività di ricerca specifica sulla PSA con due progetti. 1) PSA PRINCE: attraverso l’utilizzo di metodi innovativi di ricerca sociali, ha interessato Veneto e Friuli Venezia Giulia e ha messo a confronto le esigenze e percezioni dei diversi portatori di interesse, tra cui anche gli Amministratori Locali, al fine di individuare alcuni punti critici e di sviluppare indicazioni per rafforzare la prevenzione e il controllo della malattia. 2) DEATHBOARS: in corso di svolgimento nel Parco Regionale dei Colli Euganei, ha come obiettivo lo studio, attraverso simulazioni di campo, di strategie per l’identificazione precoce (early detection) della PSA nel cinghiale e per l’individuazione e rimozione delle carcasse infette, che sono la chiave per la persistenza del virus.
Fronte balcanico. Il focolaio più preoccupante di PSA è quello dell’Italia nord-occidentale. Sebbene non vi siano dubbi sulla sua estrema importanza, tuttavia, purtroppo non è quella l’unica direzione in cui guardare. Anche a Est infatti la PSA è presente e sta avanzando. In particolare, data la vicinanza geografica con il nostro territorio di competenza, particolare attenzione andrebbe rivolta ai Balcani, dove la malattia ha raggiunto elevati livelli di diffusione. Inoltre, al di là della vicinanza geografica, dobbiamo sempre ricordare la capacità di questa infezione di fare “salti” di migliaia di chilometri, tramite il trasporto involontario da parte dell’uomo. Di fatto quindi, purtroppo, anche se a maggior vicinanza geografica in teoria potrebbe corrispondere una maggiore probabilità, non è detto che l’infezione non possa entrare anche da molto più lontano.
Contenimento dei cinghiali. Il problema del contenimento dei cinghiali, a fronte di un interesse via via crescente e un indubbio impegno da parte di tutti gli attori coinvolti, è legato a due fattori: 1) la sostanziale difficoltà di un censimento affidabile e, di conseguenza, di sapere quanto effettivamente gli abbattimenti possano incidere sul totale della popolazione; 2) la grandissima adattabilità e capacità riproduttiva della specie. Va però ricordato che il diradamento dei cinghiali è solo una parte della strategia di controllo della PSA, ed è pertanto necessaria un’azione più ampia.
Formaggi a latte crudo
Raccomandazioni per il consumo. Dopo i recenti casi di infezioni da Escherichia coli produttore di Shiga tossina (STEC) in bambini dovuta al consumo di formaggi a latte crudo, le autorità sanitarie hanno ribadito la necessità di evitare il consumo di questo alimento nei bambini in età prescolare (sotto i 5 anni) e, in generale, per categorie fragili come donne in gravidanza, anziani e soggetti immunodepressi. Negli ultimi anni si sono verificati alcuni gravi episodi di tossinfezione, rari per fortuna. La sicurezza dell’alimento deve essere garantita dal produttore lungo tutto il processo di produzione e viene verificata dalle autorità sanitarie grazie ai regolari controlli e alle analisi microbiologiche condotte sul latte e sul prodotto finito.
Anche i consumatori possono contribuire a ridurre questo rischio adottando alcune precauzioni: 1) evitare di far consumare formaggi a latte crudo a bambini sotto i cinque anni; 2) per le categorie di persone "fragili" è preferibile il consumo di formaggi a latte pastorizzato; 3) verificare sempre l’etichetta o chiedere al venditore se il formaggio è a base di latte crudo; 4) bollire sempre il latte crudo prima del consumo; 5) il consumo di formaggi a base di latte crudo a lunga stagionatura può essere ritenuto sicuro;
Pastorizzazione e sicurezza. La pastorizzazione garantisce un alimento non solo più sicuro ma anche altrettanto buono e genuino rispetto al latte crudo e ai prodotti da esso derivati. I prodotti lattiero-caseari a base di latte crudo vengono generalmente percepiti come “più naturali” e dotati di caratteristiche nutrizionali e organolettiche preferibili. La eventuale perdita del profilo aromatico di un formaggio o del latte crudo, dovuta alla pastorizzazione o alla bollitura del latte, in un’ottica rischio/beneficio, è di gran lunga inferiore rispetto al rischio di incorrere in infezioni, anche gravi.
Tavolo tecnico al Ministero della Salute. L'IZSVe, insieme a rappresentanti del SSN e delle Associazioni di categoria, è stato coinvolto in un Tavolo istituito dal Ministero della Salute, per la mitigazione del rischio correlato agli STEC derivante dal consumo di prodotti lattiero-caseari ottenuti con latte crudo. Il gruppo di lavoro dovrà valutare se le misure di prevenzione attualmente in essere siano appropriate ed eventualmente adeguarle a protezione della salute pubblica e anche a tutela delle produzioni alimentari.
«Servono più fondi per indennizzare gli allevatori danneggiati dalla diffusione di influenza aviaria e peste suina africana; bisogna risarcire gli allevatori costretti a bloccare le loro attività a causa dello scoppio delle epidemie” afferma Vincenzo Gottardo, consigliere della Provincia di Padova con delega all’Agricoltura -. In Italia sono state messe in atto poderose misure di contrasto alla diffusione della peste suina africana che stanno dando importanti risultati e che prevedono il coinvolgimento di tutte le autorità sanitarie nazionali e regionali, delle Forze Armate, delle concessionarie autostradali, della protezione civile e delle diverse associazioni che operano sul territorio. Anche sull’influenza aviaria sono investite importanti risorse sul miglioramento della biosicurezza e sulla divulgazione delle buone pratiche per evitare la diffusione del virus tra gli allevamenti. Servono però risorse per indennizzare gli allevatori danneggiati dal blocco delle attività produttive e dal deprezzamento dei prodotti che non trovano più gli stessi sbocchi nel mercato. Purtroppo al momento l’abbattimento è necessario, perché, pur esistendo i vaccini, al momento il loro utilizzo non è autorizzato in Italia. L’epidemia si può contrastare con misure di prevenzione e controllo dirette, come misure stringenti di biosicurezza, intenso monitoraggio nelle aree a rischio, rimodulazione delle attività delle aziende per ridurre l’introduzione e la diffusione del virus, per es. con gli accasamenti per aree omogenee, fermi programmati, riduzione delle attività di sfoltimento, ecc…. in generale attraverso un miglioramento della gestione dell’intero sistema rispetto al rischio attuale».
Il video è disponibile cliccando qui.